Martin Walser
UNA ZAMPILLANTE FONTANA

pp. 360 – € 24,00
ISBN 978-88-7198-555-8


Il titolo Una zampillante fontana (Ein springender Brunnen) riprende un’espressione del Canto notturno di Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche. Per Zarathustra una zampillante fontana è la propria anima, mentre nel romanzo di Martin Walser diventa il simbolo del linguaggio, che è al tempo stesso il luogo privilegiato della creazione letteraria e poetica individuale e la manifestazione di un’identità collettiva che costituisce l’epos del popolo di un Paese. Non c’è storia di popolo se non come storia del linguaggio, vero frutto delle nozze incessanti fra la natura e la storia.
Ci viene incontro libero e lacerato nella sua tragica verità il passato della Germania come presente, la storia tedesca dagli anni Trenta agli anni Quaranta, dalla crisi della Repubblica di Weimar all’avvento e alla catastrofe del Terzo Reich. E il popolo finalmente parla nella sua lingua, meglio nelle sue lingue, nei suoi dialetti, belli perché esatti. “L’alemanno è la mia lingua madre”, sostiene Martin Walser. Mentre le figure e i personaggi rivivono davanti ai nostri occhi con la serena vivacità tutta musicale dello spirito del popolo che nella sua profonda poesia evoca la Norimberga dei Maestri cantori. Ma non c’è vera patria senza il suo poeta, senza la storia di chi trova se stesso nella poesia e nella scrittura dentro e oltre la vita del suo popolo. La storia di Wasserburg, della Germania e del suo popolo è vista con gli occhi di Johann, il giovane protagonista del romanzo e al tempo stesso il secondo nome dell’autore. Il quale non ha nulla a che fare con la memoria culturale imposta con la pistola alla tempia dall’opinione pubblica con i suoi princìpi ordinatori e le sue cangianti identità ideologiche. Memoria e ricordo si distinguono radicalmente. Una zampillante fontana ha un narratore che interviene col discorso solo nei prologhi delle tre parti del romanzo e focalizza gli eventi narrati attraverso la prospettiva di vita di Johann, il poeta-scrittore in fieri. Il ricordo, che non scade mai nell’autobiografico, mantiene così la sua forma autentica ed è paragonabile al sogno notturno, il narrare al poetare. L’arte è l’autentica attività metafisica della vita, l’unico mezzo che Johann ha per compensare la sofferenza, la mancanza di senso della vita e per resistere ad ogni contesto nemico (Wer nie sein Brot mit Tränen aß… Chi non mangiò mai il suo pane tra le lacrime…Goethe, Il suonatore d’arpa). Nessuna composizione è possibile tra la poesia del cuore e la prosa dei rapporti che la contrasta. Il ricordo che costruisce la casa del sogno non è un gioco e non è nemmeno una scrittura automatica, perché li trascende nella sua potenza mimetica che dà veramente conto del passato che muove verso di noi (Francesco Coppellotti).

Il passato sarebbe a suo modo tanto più presente quanto più fossimo capaci di lasciarlo essere se stesso. Anche i sogni, noi li distruggiamo quando ce ne chiediamo il senso. Il sogno, proiettato nella luce di un altro linguaggio, si limita a rispondere alle nostre domande. Come il torturato, esso dice tutto quello che noi vogliamo, nulla di sé. Così il passato…Da dove vengono i sogni? Narrare ciò che fu è costruire la casa del sogno. Quanto hai sognato! Ora costruisci. In questa costruzione la volontà non conduce mai a qualcosa di desiderato. Si riceve. Si è pronti.

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